
ISBN Bambini e clandestini
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«Le poesie di Ennio Cavalli sono telegrammi di romanzi», scrive Erri De Luca nella nota critica che accompagna il libro. Ricordi, rancori, paure, avventure e poi viaggi, mestieri, misteri, col debito di un sogno sempre da finire e un pizzico di indomita follia.
Inerme e sfrontato, graffiante e tenero, il puer aeternus di Cavalli non è un fanciullino astorico. A volte ricorda l'Oskar Matzerath di Günther Grass, sfida anche lui l'umanità a colpi di tamburo. A volte è il supplemento d'anima che consente di confessarsi.
Grilli nell'erba della storia, bambini o clandestini. Tra questi ultimi, il venditore di fiammiferi, «spirito faustiano», capace di sedurre con «virgole di fosforo». O l'impresario della Sirena, piombatagli tra le braccia «in aggiunta a una cassetta di granchi, / l'ultima notte d'asta». L'arrotino «legge sulle lame romanzi di vita criminale / e sgarri urgenti». Salvo immaginare, in un'altra sequenza, che le stelle, «tutte assieme, anche se soffocate nella culla / o disegnate dai bambini, / fin dove non c'è sguardo, / in ordine innocente, / formino ardentemente / lo scheletro di Dio».
Non è una poesia che fa il baciamano al lettore. Gliela stringe, la mano; qualche volta gliela graffia. E alla fine gliela legge. Con ironia e partecipazione, inventando fatalmente destini.
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