
ISBN La Babele americana
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Se c’è un luogo al mondo che più di ogni altro incarna nel nostro immaginario l’ideale e la concreta realizzazione della multiculturalità, è senz’altro quello che va sotto il nome di Stati Uniti. Europei dell’ovest e dell’est, centro e sudamericani, arabi, cinesi, indiani, giapponesi: non c’è popolo al mondo che non abbia esportato negli Usa una sua piccola o grande comunità. Eppure, a una così ricca e varia umanità non hanno corrisposto la diffusione e l’uso di una pluralità di lingue. L’inglese in realtà, più ancora della bandiera a stelle e strisce, è divenuto il tratto tangibile dell’integrazione, il segno identitario più evidente dell’appartenenza alla comunità politica della nazione americana.
Ma di che inglese si è trattato e si tratta? Se, da un lato, le differenze linguistiche tendono a rinascere dalle proprie stesse ceneri e intere comunità, assai estese, parlano il «loro» inglese, dall’altro si va instaurando un preoccupante esclusivismo linguistico, culminato di recente nell’adozione di politiche scolastiche tese ad allontanare gli studenti dalla lingua d’origine dei genitori immigrati. Cosa spinge molti legislatori statunitensi a chiedere un emendamento costituzionale che fissi una volta per tutte l’inglese come unica lingua nazionale ammessa nel paese? E quali sono le altre lingue, «subalterne»? Come e perché esse resistono e anzi si espandono?
Intrecciando storia culturale, linguistica e politica, il lettore italiano troverà in queste pagine la prima storia della lingua inglese negli Usa e al contempo una rassegna delle sue principali varianti: lo «slang», il «Black English» degli americani di colore e lo «Spanglish» coniato dagli immigrati di madreligua spagnola, che conosce proprio in questi ultimi anni una inusitata espansione.
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