
ISBN I tre moschettieri
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«Figliolo, a corte, se mai avrete l’onore di andarvi, siate degnamente all’altezza
del vostro nome di gentiluomo. Mettetevelo bene in testa: soltanto col proprio coraggio un gentiluomo si fa strada ai nostri giorni. Voi siete giovane, dovete essere impavido per due ragioni: la prima è che siete guascone, e la seconda è che siete mio figlio. Non temete le occasioni e cercate le avventure».
Qual è il segreto? Dove sta la magia? Nella forza del plot? Nella qualità possente dello scenario storico che è in grado di evocare? Nell’alternarsi continuo di ingenuità e malizia? Nella suspense? Forse, più di tutto, nella gioia del raccontare. È la seduzione narrativa, infatti, a fare dei Tre moschettieri un capostipite del romanzo senza aggettivi (le etichette che di volta in volta gli sono state applicate – romanzo storico, d’avventura, d’appendice, di cappa e spada – rischiano di risultare fortemente riduttive). Questo capolavoro dell’intrigo cattura ad ogni pagina il lettore, lo spiazza, lo depista, lo inganna e lo rende complice, per poi coinvolgerlo in uno strabiliante «effetto meraviglia». A partire dal titolo: non solo I tre moschettieri sono quattro, ma – come ha osservato Umberto Eco – il romanzo è palesemente «la storia del quarto», di d’Artagnan, che è l’assoluto protagonista non solo di questo libro, ma degli altri due che seguiranno: Vent’anni dopo e Il Visconte di Bragelonne. «Immaginatevi un Don Chisciotte a diciott’anni»: è questo il primo impatto del lettore con d’Artagnan, e attorno a questo virtuoso della spada, a questo campione di lealtà, di fedeltà incondizionata alla causa del re, di dedizione assoluta alla regina, si dipanerà la storia dei tre romanzi, la storia di una vita. Accanto al guascone-moschet tiere, l’altra figura decisiva, antagonistica, è Milady, quintessenza dell’inganno, maschera erotica della perfidia e del tradimento, di cui porta il segno indelebile inciso nelle carni. Da lei stillano immancabilmente tutte le gocce di veleno che si insinuano tra le pieghe del racconto… E gli altri tre, i «moschettieri»? Athos, Porthos e Aramis non sono affatto figure «minori». Restituiscono, insieme al cardinale Richelieu, a Luigi XIII, alla regina Anna d’Austria, al duca di Bucking ham e alla folla dei personaggi che compongono il grandioso affresco messo in scena da Dumas, la dimensione di un romanzo corale, in grado di insegnare ai francesi, come ebbe a riconoscere il grande storico Jules Michelet, più storia di quanta ne avesse insegnata lui. C’era bisogno di una nuova edizione dei Tre moschettieri per riportare il romanzo all’altezza della sua scrittura, per proporlo al lettore nella sua giusta chiave: attraverso una nuova traduzione che unisce rigore e respiro narrativo; attraverso un’Introduzione del più grande studioso vivente di Dumas; attraverso un dettagliatissimo Dizionario dei personaggi; attraverso i magistrali «inchiostri» di Federico Maggioni, che costituiscono un acuminato contrappunto alla scrittura. Non tavole fuori testo, ma disegni nella pagina, che riprendono la tradizione dei grandi illustratori ottocenteschi (da Leloir a Doré, a Beaucé) e al tempo stesso si misurano con la qualità di un tratto al passo con la nostra sensibilità di lettori contemporanei.
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