
ISBN Yes, we can
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Barack Obama rappresenta, non solo politicamente, l’America del cambiamento. Ogni volta che gli Stati Uniti si trovano di fronte a una situazione che mette in discussione il loro ruolo storico nel mondo contemporaneo, si ripropone per gli americani la questione: che cosa legittima la nostra aspirazione a porci alla guida del mondo? A questa domanda vi sono due modi di rispondere. Il primo cerca le ragioni nel passato, nell’orgogliosa rivendicazione di un modello. Il secondo cerca le ragioni nel futuro, nell’individuazione dei nuovi scenari possibili, nel cambiamento. È l’America della frontiera, l’America di Truman, di Roosevelt, di Kennedy, quella che ciclicamente si ripresenta, e che trova in Obama oggi il suo nuovo, consapevole banditore.
L’America non è stata mai così a rischio e impaurita come dopo l’11 settembre. Mai così in crisi è apparsa la sua capacità «convenzionale» di dominare i conflitti, di fronte a un nemico, come il terrorismo, del tutto «non-convenzionale». Mai come oggi si sono rivelate fragili la forza propulsiva del suo sistema economico, la sua sicurezza energetica, la sua capacità di aggregazione del melting-pot etnico, linguistico, religioso che la costituisce.
La risposta di Barack Obama alla crisi americana non consiste – come superficialmente è portata a pensare larga parte dell’opinione pubblica «progressista» nostrana – in una sorta di pacifismo arrendevole, o di solidarismo «buonista», o di anticapitalismo intento a sminuire la forza della competizione e del mercato. Obama è un candidato nero, ma non è il candidato dei neri. Si oppone alla guerra in Iraq (e lo ha fatto fin dal primo momento), ma vuole aumentare la forza e la qualità dell’apparato militare del suo paese. Vuole chiudere Guantanamo, ripristinare la legalità interna e internazionale, chiama al rispetto dei diritti civili, ma sostiene tutto ciò per poter condurre con maggiore forza e determinazione la lotta mortale contro il terrorismo fondamentalista. Si batte – primo tra i leader americani di ogni tempo – per una nuova sensibilità ambientale su scala mondiale, ma è attento all’innovazione tecnologica, allo sviluppo, alla crescita. E ancora, Obama porta nel cuore della politica americana una motivazione, uno spirito, un afflato che sono profondamente religiosi, ma sa essere assolutamente laico nel disegnare, su temi come l’aborto, il controllo della natalità, l’etica della vita, gli scenari di un nuovo pluralismo e di una nuova tolleranza. Soprattutto, Obama non promette il cambiamento. Al contrario, lo sollecita, lo chiede agli americani. E al tempo stesso, lo «certifica», lo rende possibile: «Yes, we can». Solo attraverso questa assunzione collettiva di responsabilità l’America potrà essere credibile nel chiedere lo stesso cambiamento al mondo intero.
Qualunque sia l’esito elettorale, Obama ha già ottenuto di schierare, di mettere in campo l’America del cambiamento. Nelle parole del giovane leader, è un mondo nuovo e diverso che prende corpo. Per una parte crescente del suo paese è l’ultima declinazione del sogno americano. Ma tra qualche mese, questa speranza potrebbe segnare la storia di tutti noi.
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