Straordinaria cronistoria del movimento impressionista, il saggio di Rewald è la rievocazione di un’epoca, uno spaccato di vita fatto di trionfi e sconfitte, attraverso la parabola esistenziale di personalità autentiche che con coraggio, ostinazione e talento hanno rotto con la tradizione anticipando alcune tendenze dell’arte del Novecento. È la primavera del 1874 quando un gruppo di giovani pittori sfida il Salon ufficiale di Parigi e organizza una mostra in proprio: non si tratta solo di osteggiare il neoclassicismo, ma di assorbire e superare le lezioni romantiche, di raffinare le intuizioni di Courbet, Corot, Ingres. Le reazioni di pubblico e critica sono feroci e gli artisti sono accusati di inventare una pittura deviante con l’unico obiettivo di attirare l’attenzione e farsi gioco della gente perbene. Tra di loro ci sono Monet, Renoir, Pissarro, Sisley, Degas, Cézanne, Berthe Morisot: artisti diversi non solo per doti e carattere, ma anche per assunti e propositi, eppure legati da un destino comune proprio a causa di quel nome, “impressionisti”, coniato da un giornalista in vena d’ironia. Bandita una volta per tutte la pittura d’atelier, i quadri si dipingono en plein air per studiare meglio le variazioni della luce e il paesaggio diventa soggetto principale, con le marine di Le Havre e Argenteuil, le foreste di Fontainebleau, la cattedrale di Rouen, mentre la ricerca della naturale espressione di un personaggio sfocia in nudi femminili che non hanno nulla a che vedere con le divinità classiche. Impressioni dunque, e non più disegno. Organizzata in quindici capitoli fedelmente vincolati ad altrettante scansioni cronologiche, la narrazione scorre fluida coniugando una dettagliata ricostruzione dei fatti con una conoscenza approfondita delle opere e della psicologia dei loro artefici, portando il lettore fra le vie di Montmartre, nello studio di Nadar, fra i tavolini dei leggendari Café Guerbois e Nouvelle-Athènes.